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mercoledì 30 giugno 2010

Oggetti da buttare via? No, ci sono i Droog che ne fanno "Design"



Townhouse è la prima casa totalmente arredata con i pezzi di Droog Design, un gruppo fondato da Renny Ramakers e Gijs Bakker ad Amsterdam, negli anni '90.
Droog, oggi diventato un simbolo del Design, ha riunito nei vari anni progettisti e disegnatori di tutto il mondo, riutilizzando gli oggetti quotidiani, trasformandoli in opere uniche.



Ispirandosi nell'osservare materiali, arredi ed accessori quotidiani che dovevano essere buttati o reciclati, questi designer hanno creato e creano le loro opere sbizzarrendosi con idee concettuali, i loro pezzi diventati simboli di un "Conceptual Design", vengono oggi esposti in molti musei del mondo, come nel museo di Utrecht.


Questo gruppo che negli anni '90 divenne famoso per riutilizzare oggetti in generale, adesso ripropone di nuovo la riutilizzazione degli stessi, e di materiali di scarto e rifiuti, ma in un'ottica diversa, in un periodo di crisi economica vuole sottilineare l'importanza che il Design attribuisce nel reinventare pezzi comuni, come lampadine, bottiglie, vecchie cassettiere, etc. dandogli una nuova immagine, una nuova funzione e come fa notare, anche questo è Design.




Quando Ramakers nel 1992 mostrò all'esposizione nei Paesi Bassi, alcuni mobili montati da alcuni designer olandesi, con materiali di scarto ed oggetti trovati, vendette così poco che non riuscì neanche a coprire le spese.
Oggi Droog il cui significato è un po' ironico, sta per "asciutto, secco, incisivo", è diventato un'icona del Design internazionale, i loro pezzi esposti in musei, gallerie ed outlet di tutto il mondo vengono apprezzati sempre più, in tempi favorevoli al riciclo ed al Design vissuto e riveduto.

mercoledì 16 giugno 2010

Dai detriti dell'uragano Katrina, nasce la sedia Wabi Sabi.



Una proposta del designer Bannavis Andrew Sribyatta del PIE studio, la "Wabi Sabi" chair, che è stata realizzata con i detriti lasciati dal devastante uragano Katrina, è un unico blocco realizzato con i resti naturali raccolti dopo il passaggio dell'uragano; fogliame, radici, semi, trucioli di legno.
Il nome "Wabi Sabi" non è stato scelto a caso, è un nome d'ispirazione orientale. La parola indica una sensazione simile alla malinconia, alla tristezza, ecco perchè il designer ha pensato di adottare questa parola per la sua opera, come espressione di quello che l'uragano ha lasciato.



La Wabi Sabi è una seduta sperimentale che lascia un messaggio: la sua forma e bellezza passano in secondo piano. La seduta esprime il modo di attuare del PIE studio, che lavora con una certa sensibilità vari materiali di scarto cercando ispirazione in alcune forme naturali, ad esempio nelle foglie di palma, nelle radici, proponendo dei pezzi unici, simbolici e ricchi di significato.
Mi auguro che i designer in generale riescano sempre più a sensibilizzarsi verso la natura, solo in questa maniera potremmo davvero creare un dialogo con quello che ci circonda.




Alcuni lavori del designer Sribyatta si trovano nelle collezioni permanenti del Cooper Hewitt di New York e il National Building Museum di Washington.

venerdì 11 giugno 2010

L'Architettura Eco-sostenibile rispetta davvero l'Ambiente e l'Uomo?



Vorrei aprire una parentesi sull'architettura eco-sostenibile.
Ultimamente vedo architetture di questo genere nascere come funghi quasi per moda, vorrei sottolineare che una cosa è fare dell'architettura con materiali eco-sostenibili nel rispetto dell'ambiente, ed un'altra è crearsi una scusa nell'architettura facendo delle strutture che ostacolano la vista e creano un ingombro dimensionale.
Il fatto è che sembrano essere giustificate perchè utilizzando materiali compatibili con la natura, e riempiendole di terrazze con verde o serre e orti, si cerca di mimetizzarle nella natura stessa.
In questo ho i miei dubbi, a volte sembrano quasi dei piccoli mostri che escono dal terreno, ricoperti di verde, non fa nulla se arrivano ad altezze incredibili, l'importante è che siano eco-sostenibili, ed il deturpamento dell'ambiente e del panorama dove lo mettiamo? No, l'importante è che rispettino determinati parametri, anche se ultimamente il WWF ha creato un decalogo per gli edifici ecologici. Può sembrare poca cosa, ma in realtà ciò significa che al riguardo le associazioni ecologiche si stanno muovendo con maggior cognizione di causa degli stessi architetti.
Vi posto alcune cosiddette architeture sostenibili che rispecchiano quanto appena detto.



Tropicool KL



Atelier Data
MOOV



Mass Studies



Time links Ziggurat



Romses Architects


Oramai si vedono architetture sostenibili di tuti i i tipi: edifici come la ziggurat che pretendono di incapsulare 1 milione id abitanti creando un habitat naturale, una sorta di metropoli autosufficiente, oppure la Seoul Community dove l'architetto ha immaginato 2590 celle disposte come in un alveare.

Ma gli architetti di queste mega-opere si sono chiesti se riuscirà davvero a poter vivere così un essere umano, senza più aver bisogno di uscire? Ultimamente alcuni scienziati stanno sperimentando su astronauti in Russia, l'effetto della missione su Marte.
L'esperimento Mars 500 consiste nell'isolare sei individui, cercando di ricreare per loro un habitat quanto più completo possibile nello spazio permesso da una missione spaziale per 500 giorni, adesso stanno aspettando i primi risultati. Individui che vengono selezionati psicologicamente, ed allenati a poter vivere ed adattarsi a spazi ristretti, ciascuno di loro avrà uno spazio di 3m2 privato in una sorta di bilocale di 72m2 e per un tempo di un anno e mezzo, ed al primo segno di instabilità psicologica verranno tirati fuori da quest'ambiente.
Questo vuol dire che non è tanto semplice decidere di far vivere un certo numero di persone in architettura o metropoli sostenibili dove non mancherà nulla; gli architetti non hanno tenuto in conto una cosa molto importante: essere a contatto con la natura, con la vita, non significa chiudersi ma aprirsi al mondo, socializzare, viaggiare, vivere fuori...

venerdì 4 giugno 2010

Un batterio che trasforma la sabbia creando strutture nel deserto...



Interessante...un batterio il "Bacillus Pasteurii" che trasforma la sabbia in particolari strutture di arenaria molto rapidamente, una sorta di cemento naturale se vogliamo....l'ha trovato lo studente Magnus Larsson, che ha vinto il premio per l'edilizia sostenibile con Dune Project, pensando di rilasciare il batterio nel deserto del Sahara, per creare un muro di 6.000 km, che ospiterà oasi di acqua, vegetazione e rifugi-alloggi, in questa maniera si cercherà di arrestare anche la desertificazione.

Larsson che ha studiato il batterio al Soil Interactions Lab SIL, fa notare che la struttura che ha studiato però genera una differenza di temperatura tra l'interno delle parti solidificate, le dune di sabbia e la superficie esterna delle dune stesse.

Un' altra cosa da tenere in considerazione adesso è lo studio di come arrestare il batterio il quale una volta lasciato nella sabbia inizierà il suo processo di trasformazione e se non viene fermato potrebbe creare problemi all'ecosistema.




Insomma alla fine, credo che la microbiologia ormai stia entrando pian piano a far parte del bagaglio culturale dell'architetto, e potrá diventare indispensabile in futuro per studiare e realizzare architetture eco-sostenibili, almeno ce lo auguriamo....

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